SITUAZIONI PARTICOLARI

LICENZIAMENTO IN MALATTIA O INFORTUNIO

In base a quanto stabilito dall'articolo 2110 del Codice Civile, il licenziamento durante l'assenza per malattia o infortunio può essere intimato solo se è stato superato il cosiddetto periodo di comporto stabilito dalla contrattazione collettiva.
Fa eccezione tuttavia il licenziamento per giusta causa, che può essere intimato anche nel corso di una malattia, come confermato da ripetute sentenze della Corte di Cassazione (n. 13903/2000, n. 7467/1998, n. 2009/1998, n. 12915/1997, n. 2019/1995).

LICENZIAMENTO IN CASO DI MATERNITA' O PATERNITA'

Ai sensi dell'articolo 54 del Decreto Legislativo 151/2001, la lavoratrice non può essere licenziata nel periodo compreso tra l'inizio della gravidanza ed il compimento di un anno di età del figlio.
Se il padre fruisce del congedo di parternità, la stessa tutela si estende a costui dall'inizio di tale periodo fino ad  un anno di vita del figlio.
In caso di adozione o affidamento il suddetto divieto vige fino ad un anno dopo l'ingresso del bambino nel nucleo familiare.
Il licenziamento è comunque possibile nei casi di:

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 14723/2015, ha sancito che, in caso di interruzione della gravidanza entro il 180° giorno dal suo inizio, cessa il divieto di licenziamento.

Sempre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 17433/2015, ha sancito che le lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari possono essere licenziate dall’inizio della gestazione fino al compimento di un anno d’età del bambino senza che il licenziamento sia qualificabile come illecito o discriminatorio.

LICENZIAMENTO IN CASO DI MATRIMONIO

Il comma 6 dell’articolo 5 del Decreto Legislativo 198/2006 dispone il divieto di licenziamento della lavoratrice dopo la richiesta di pubblicazioni del matrimonio e  fino ad un anno dalla sua celebrazione, salvo i casi di:

a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;

b) cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta;

c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.

Nel caso di riconoscimento della nullità del licenziamento, deve essere riconosciuta alla lavoratrice la retribuzione non percepita fino alla sua riammissione in servizio.
La sentenza n. 17845/2011 della Corte di Cassazione ha precisato che il divieto di licenziamento opera dalla pubblicazione delle nozze in Comune, indipendentemente  dal fatto che la lavoratrice ne abbia messo a conoscenza il datore di lavoro.
La stessa sentenza ha ricordato che, al contrario, il licenziamento è valido se intimato prima della pubblicazione delle nozze, anche se la pubblicazione dovesse avvenire durante il relativo periodo di preavviso. 

LICENZIAMENTO DI DIRIGENTE FITTIZIO

La sentenza della Corte di Cassazione n. 20763/2012 ha stabilito che, ai fini del licenziamento, rientra nella tutela della Legge 604/1966 e dello Statuto dei Lavoratori il dirigente che, pur essendo inquadrato con tale qualifica, di fatto svolge mansioni che non comportano un alto grado di professionalità, autonomia e potere decisionale.   

LICENZIAMENTO PER INIDONEITA’ AL LAVORO

Con la sentenza n. 7755/1998 la Corte di Cassazione ha stabilito che il licenziamento di un lavoratore che, a seguito di malattia fisica o psichica, sia diventato permanentemente inidoneo a svolgere le mansioni a lui assegnate, è valido solo se il datore di lavoro non lo possa adibire ad altre mansioni equivalenti o, in mancanza, di contenuto professionale inferiore.  

La sentenza n. 7531/2010 della Corte di Cassazione ha stabilito che si configura la giusta causa e non il giustificato motivo, per cui non va rispettato il periodo di preavviso, quando l’inidoneità al lavoro è tale da non consentire, neppure provvisoriamente, la continuazione del rapporto di lavoro.

LICENZIAMENTO PER SOPPRESSIONE DELLE MANSIONI

La sentenza della Corte di Cassazione n. 26563/2007 ha stabilito che il datore di lavoro,  nel sopprimere un settore lavorativo, un reparto o un singolo posto di lavoro, esercita il diritto di libertà di iniziativa economica riconosciuto dalla Costituzione, per cui il suo operato non può essere sottoposto a giudizio sotto il profilo della congruità e dell’opportunità.  

La sentenza della Corte di Cassazione n. 21579/2008 ha stabilito che, in caso di licenziamento per soppressione del posto di lavoro, il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare, oltre all’impossibilità di offrire al lavoratore mansioni diverse ma equivalenti a quelle svolte, anche la mancanza di mansioni inferiori rientranti nel bagaglio professionale del lavoratore, compatibili con l’assetto organizzativo aziendale, da potergli offrire o, in alternativa, di averle proposte ottenendo un suo rifiuto. 

LICENZIAMENTO PER ECCESSIVA MORBILITA’

La sentenza della Corte di Cassazione n. 1404/2012 ha sancito che le ripetute malattie di un lavoratore non possono configurare la sua inidoneità al lavoro.

 Questo perché lo stato di malattia ha carattere temporaneo, mentre l’inidoneità al lavoro è a tempo indeterminato o comunque non determinabile.  

Il licenziamento del lavoratore ripetutamente assente per malattia può quindi avvenire solo a seguito di superamento del periodo di comporto previsto dal Contratto Collettivo di Lavoro, mentre può avvenire per inidoneità al lavoro solo se tale inidoneità venga accertata, indipendentemente dagli eventi di malattia.  

LICENZIAMENTO PER TERMINE PERIODO DI COMPORTO

La nota n. 12886/2012 del Ministero del Lavoro ha chiarito che il licenziamento per superamento del periodo di comporto stabilito in caso di assenza dal lavoro per malattia o infortunio, da parte di una azienda con oltre 15 dipendenti, non prevede l’obbligo del tentativo di conciliazione previsto per il giustificato motivo oggettivo.

LICENZIAMENTO PER INCREMENTO DI REDDITIVITA’

Con sentenza n. 579/2013 la Corte di cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento intimato dal datore di lavoro  al fine di aumentare la sua redditività, tenuto conto che i cambiamenti organizzativi sono rimessi alla libera iniziativa territoriale tutelata dall’art. 41 della Costituzione.

 Il giudice, al riguardo, può solo verificare la sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro ai fini del licenziamento. 

MANSIONI ALTERNATIVE COMUNQUE COME DIPENDENTE

La sentenza della Corte di Cassazione n. 12810/2013 ha sancito che le mansioni alternative offerte al dipendente nel caso di licenziamento per soppressione del posto di lavoro debbono comunque rientrare nell’ambito del lavoro subordinato (nel caso specifico l’azienda aveva offerto al dipendente licenziato un contratto di lavoro autonomo, pur avendo offerto ad altri dipendenti mansioni alternative comunque con continuazione del rapporto di lavoro subordinato).

LICENZIAMENTO PER OUTSOURCING

La sentenza della Corte di Cassazione n. 6346/2013 ha sancito che è legittimo il licenziamento a seguito affidamento di un servizio ad una azienda esterna, qualora non ci sia la possibilità di offrire al lavoratore che lo aveva svolto fino ad allora mansioni alternative.

SUPERAMENTO PERIODO DI COMPORTO E MOBBING

La sentenza della Corte di Cassazione n. 14643 del 11/06/2013 ha sancito l’illegittimità del licenziamento per superamento per periodo di comporto se la malattia cui fa riferimento tale periodo è stata determinata da “mobbing” (nel caso specifico si trattava di un demansionamento illegittimo accompagnato da un comportamento persecutorio  da parte del datore di lavoro). 

LICENZIAMENTO PER MOMENTANEO CALO DI PROFITTO

La sentenza della Cassazione n. 16987/2013 ha sancito che è illegittimo il licenziamento attuato per fronteggiare un momentaneo calo di profitto.

Nel caso specifico si trattava di uno studio legale che, a seguito della perdita di un importante cliente, aveva licenziato la segretaria per affidarne le mansioni ai praticanti di studio.

LICENZIAMENTO INTIMATO PER RACCOMANDATA A/R

Come sancito dalla sentenza n. 6527/2003, la comunicazione si presume conosciuta dal momento in cui giunge al domicilio del destinatario, ovvero, nel caso in cui la lettera raccomandata non sia stata consegnata per assenza del destinatario e di altra persona abilitata a riceverla, dal momento del rilascio del relativo avviso di giacenza presso l'ufficio postale.

LICENZIAMENTO SENZA FIRMA DEL DATORE DI LAVORO

La sentenza n. 7044/2010 ha sancito che può considerarsi valido un licenziamento intimato con una lettera non sottoscritta, ma recante nell’intestazione ed in calce la denominazione dell’impresa ed il nome del titolare, trasmessa con raccomandata e tempestivamente impugnata dal lavoratore.

LIMITE NUMERICO ACCERTATO IN SEDE GIUDIZIALE

La sentenza della Corte di Cassazione n. 23771/2013 ha sancito la reintegrazione nel posto di lavoro per il lavoratore ingiustamente licenziato se, in sede giudiziale e sulla base delle deposizioni dei testimoni e del materiale probatorio, viene accertato un numero di dipendenti superiore alle 15 unità.   

LICENZIAMENTO ALL'INTERNO DI UN GRUPPO DI IMPRESE

La sentenza della Cassazione n. 798/2014 ha sancito che una azienda, appartenendo ad un gruppo di imprese e avendo impiegato un lavoratore a favore di una o più di queste imprese, deve accertare l’impossibilità della sua ricollocazione all’interno del  gruppo stesso prima di poterlo licenziare. 

LICENZIAMENTO PER RIDUZIONE DELLE MANSIONI

Con sentenza n. 13516/2016 la Corte di Cassazione ha sancito che il licenziamento di un  dipendente per esubero in una posizione lavorativa è valido anche se le mansioni a lui affidate vengono in parte soppresse e in parte ripartite sugli altri lavoratori.

La sentenza ricorda che la soppressione di una data posizione lavorativa può derivare, alternativamente,:

  • da una diversa organizzazione tecnico-produttiva che abbia reso determinate mansioni obsolete o comunque non più necessarie o, ad ogni modo, da abbandonarsi in virtù di insindacabile scelta aziendale;
  • dall’esternalizzazione di determinate mansioni che, pur reputate ancora necessarie, vengano però lasciate a personale di imprese esterne;
  • dalla soppressione di un intero reparto o dalla riduzione del numero dei suoi addetti, rivelatosi sovrabbondante per l'impegno richiesto;
  • da una diversa ripartizione di date mansioni fra il personale in servizio, attuata a fini di più economica ed efficiente gestione aziendale, nel senso che, invece di essere assegnate ad un solo dipendente, date mansioni possono essere suddivise fra più lavoratori, ognuno dei quali se le vedrà aggiungere a quelle già espletate: il risultato finale fa emergere come in esubero la posizione lavorativa di quel dipendente che vi era addetto in modo esclusivo o prevalente.

CONSEGUENZE DEL PATTO DI PROVA VIZIATO

Con sentenza n. 17921/2016 la Corte di Cassazione ha sancito che, nel caso di licenziamento per esito negativo del periodo di prova, qualora fosse accertato un difetto che determini la nullità della relativa pattuizione (nel caso specifico l’assunzione con periodo di prova era stata preceduta da un contratto a progetto), non si ha la ricostituzione del rapporto di lavoro con pagamento della retribuzione maturata dal momento del recesso.

Secondo la Cassazione il rapporto di lavoro, in queste circostanze, deve intendersi comunque risolto, ma con le conseguenze previste, in base al numero dei dipendenti in forza, dalla tutela contro i licenziamenti illegittimi.

SOMMINISTRAZIONE FITTIZIA E RICORSO LICENZIAMENTO

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17969/2016, ha sancito che il lavoratore che ritenesse di aver lavorato per un datore di lavoro diverso da quello diverso da quello presso il quale è stato assunto e volesse contestare il licenziamento intimato da quest’ultimo, deve comunque rispettare il termine previsto di 60 giorni qualora volesse estendere all’azienda utilizzatrice tale contestazione.

CRITERI DI SCELTA DEL LAVORATORE DA LICENZIARE

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25192/2016, ha sancito che, in caso di soppressione di un posto di lavoro e a fronte di lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, può essere licenziato colui che, a parità di mansioni, comporta maggiori costi per l'azienda, risulti meno performante e sia titolare anche di altri redditi.

E’ quindi possibile applicare criteri diversi da quelli previsti dall’art. 5 della legge 223/1991, purché non arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati.

LICENZIAMENTO PER AGGRAVAMENTO DISABILITA’

La sentenza della Corte di Cassazione n. 10576/2017 ha sancito che, in caso di aggravamento delle condizioni fisiche o mentali di un lavoratore disabile, l’inidoneità al lavoro ai fini del licenziamento può essere stabilita esclusivamente dalla speciale commissione medica ex lege n. 104 del 1992, per cui non è sufficiente il giudizio del medico competente in ambito di sorveglianza sanitaria.